Non c’è un gestore della ristorazione che non dichiari che il cliente è il vero padrone del suo locale… ma solo a parole.
In realtà, proprio quando si tratta di accogliere il cosiddetto “padrone”, si mostra uno dei limiti del servizio. Si trascura l’accoglienza, anzi molti pensano che una persona a ciò delegata sia uno spreco, un cameriere che non lavora.
Se il cliente è il re…
C’era una volta, visto che parliamo di re, il Ciambellano di corte, una persona di nobile rango, di solito un conte o un barone, che era il responsabile del benessere dei Signori per i quali prestava servizio, compreso il buon andamento della sala e della cucina. Con il finire delle corti, tale figura venne incarnata nei ristoranti, e siamo ormai a fine ’800, dal maître, ossia dal responsabile di sala.
Il Maître era colui che dirigeva il servizio, occupandosi dell’aspetto estetico della sala, dirigendo e controllando il lavoro dei camerieri e dedicandosi anche all’accoglienza dei clienti, alla presentazione del menù e della carta dei vini, consigliando sulle scelte. Fra tanti compiti, un ruolo primario e non marginale era nell’accogliere il cliente, nell’essere un public relation man. Oggi il maître è una figura quasi scomparsa, relegata a pochi ambienti esclusivi; l’avvento del fast food, della ristorazione “alternativa” ha spazzato via questa immagine e con questa ha cancellato anche una funzione a cui nessun locale può e deve rinunciare: l’accoglienza.
Troppe volte succede, si calcola nel 60% dei casi, che il cliente entrando in un locale della ristorazione veda i camerieri sfrecciargli intorno presi dal loro lavoro: lui si guarda smarrito intorno, non sa dove sedersi… non c’è nessuno che lo guidi. E poi finalmente arriva qualcuno che chiede “in quanti siete” e si degna di pilotarlo ad un tavolo.
Chi lo sta “guidando” non sa cosa spinge quel cliente a cenare in quel locale, per affari, per distrarsi, per incontrare, non si pone la domanda né cerca di capire con chi ha a che fare, non si preoccupa di dargli la sensazione di essere entrato in un locale in cui può lasciare fuori dell’ingresso i suoi problemi, insomma non gli dà la “giusta” impressione. A volte è già tanto se sorride! Si è persa per strada l’accoglienza. Eppure è proprio da questo primo contatto che si mette il cliente nelle condizioni di “fidarsi”, cosa che permetterà di fargli soprassedere su qualunque cosa che, nel corso della serata, potrebbe non essere perfetta. È in quel primo momento che il locale si gioca le carte che gli faranno vincere la partita.
Andare incontro al cliente appena entra, salutarlo, se lo si conosce appellandolo per nome o cognome, a seconda del grado di confidenza, e senza mai pronunciare il saluto a voce troppo alta, informarsi su quale tavolo vorrebbe accomodarsi, e se questo fosse già riservato trovargli una sistemazione analoga, farlo accomodare e portargli subito il menu chiedendo se mentre sceglie vuole già qualcosa da bere, ecco, questo è far sentire il cliente a proprio agio. Il tutto mantenendo un atteggiamento discreto, mai invadente o scioccamente “ciarliero”.
Ecco la parola, atteggiamento, non capacità tecniche di servizio ma di relazione, fatta di un sorriso e di piccole attenzioni, ad esempio indicare dove attaccare i cappotti, dove far appoggiare la borsa ad una signora, come provvedere con un cuscino se c’è un bambino. E soprattutto, per instaurare un buon rapporto ed influire positivamente sulla sua percezione senza dargli la sensazione di “manichini addestrati”, bravi, educati ma “mestieranti”, personalizzare la relazione. Ecco perché il successo dell’impresa passa attraverso l’apprendimento delle competenze e degli strumenti che consentono di creare valore in un contesto dominato dal cambiamento.
Come fare?
Osservare per capire con chi si ha a che fare. Guardare l’abbigliamento, perché se è vero che l’abito non fa il monaco è pur sempre vero che ci dà una bella indicazione su chi lo indossa, ascoltare le parole usate, non per spiare la conversazione al tavolo ma per identificare il livello culturale degli ospiti, controllare i gesti, talvolta più rivelatori delle parole (basti pensare ai gomiti appoggiati sul tavolo) e se si tratta di un gruppo, identificare il “capobranco”… che c’è sempre. È quello che zittisce gli amici al momento della raccolta delle comande, che spesso fa l’appello sul numero di portate uguali e lo riepiloga al cameriere, che di solito sceglie il vino da abbinare alle portate, insomma, è quello che potrebbe determinare la soddisfazione di tutti e la fidelizzazione al locale.
Tutto questo, come vedete, è accoglienza, è un valore aggiunto al servizio del locale; accoglienza quindi non solo nella persona preposta all’ingresso del cliente ma nel seguirlo durante la cena fino al momento del conto e all’uscita. Un ruolo che deve essere riscoperto in tutta la ristorazione, spesso svolto dal titolare o dal gestore, e sono i locali che funzionano, troppe volte invece trascurato perché il concetto dell’accoglienza è ancora lontano dalla filosofia di molti ristoratori che non possono o vogliono svolgerlo direttamente e non adeguano a questo ruolo i loro camerieri.
Sento già le obiezioni: con il turn over del personale è impossibile intervenire su questo tipo di formazione, io devo già stare alla cassa e non ce la faccio a seguire questo aspetto, non mi posso permettere di pagare una persona in più perché curi l’accoglienza, e via dicendo. Tutto vero ma… sapete che i locali della ristorazione che hanno fatto dell’accoglienza uno dei loro punti di forza e si sono impostati sulla cultura del servizio hanno aumentato il fatturato? Il cliente è sempre più esigente, desidera l’accoglienza, perché un locale della ristorazione non vende più e soltanto cibo e bevande ma atmosfera, ambiente e servizio.
Accoglienza non solo nel come “ricevere” all’ingresso ma come capacità di “ospitare”, sapendo conversare, fornendo informazioni corrette sui cibi proposti, arricchendo il servizio di notizie, ad esempio nel servire il vino è buona abitudine indicare l’annata e la cantina, di curiosità su un prodotto particolare… insomma una porta aperta sulla comunicazione. E siccome un ritardo nelle portate o un disguido può sempre accadere, intervenire subito avvertendo il cliente con chiarezza sui tempi in cui potrà essere servito: solo se riuscirete a recepire la sua accettazione potrete stare tranquilli di non averlo deluso, altrimenti dovrete offrirgli un’alternativa allettante o una stuzzicheria, se siamo ad inizio pasto, o un piatto leggero, ad esempio un’insalatina, se siamo fra il primo e il secondo, per ingannare l’attesa… e tutto questo non può essere delegato ad un cameriere che in molti locali non è qualificato ma è solo colui che serve al tavolo.
Si può dire che l’accoglienza non si conclude neppure con il conto, al ristorante non siamo ad una compravendita di vacche, ma si conclude solo nel saluto e, se possibile, nell’accompagnare i clienti all’uscita. Colui che adempie al ruolo dell’accoglienza è a tutti gli effetti il portavoce del locale, colui che insieme al menu, il primo testimone al tavolo, alla qualità dell’offerta, all’ambientazione gradevole contribuisce in modo determinante al successo di “quel” locale.
Estendendo il concetto di accoglienza al significato di sollecitudine, massima diligenza, cura dell’altro, ci accorgiamo di entrare nel mondo dei sentimenti, delle emozioni, proprio quelle che il cliente vuol provare scegliendo un luogo da frequentare per mangiare e distrarsi dalla quotidianità, voi avete il compito di confermare la sua scelta se volete conquistare 1, 10, 100 clienti in più.
Se il cliente è il re… accogliamolo come tale!