Secondo scienziati la ricetta del buonumore è la birra: ecco tutti i modi in cui una pinta può migliorare una “giornata no”!
A volte basta godersi una giornata di sole sorseggiando la propria birra preferita per essere felici.
È scientificamente provato: secondo Scientific Reports, è l’ordenina, sostanza contenuta nell’orzo maltato, a scatenare questa reazione.
L’Università di Oxford e CBS News, invece, pongono rispettivamente l’accento sul ruolo dei pub come luoghi di aggregazione e su come un consumo moderato di alcol possa aiutare le persone ad essere più socievoli ed empatiche.
Un ricordo può riemergere dai meandri della memoria nella maniera più inaspettata.
Ne sa qualcosa Marcel Proust, scrittore francese che, in un celebre passo della sua monumentale opera “Alla ricerca del tempo perduto”, semplicemente assaggiando una madeleine inzuppata nel tè riesce a viaggiare nel tempo e a rivivere i momenti speciali trascorsi insieme agli affetti più cari.
Se oggi Proust fosse ancora vivo, molto probabilmente festeggerebbe la giornata internazionale della felicità, che ricorre il 20 marzo di ogni anno, gustando una madeleine accompagnata da un infuso.
Tanto più in epoca di pandemia, quando l’unica possibilità per tirarsi un po’ su di morale sembra essere rifugiarsi nei ricordi e vedere il lato positivo nelle cose semplici che la quotidianità ha da offrire:
il piacere di leggere un buon libro senza distrazioni, più tempo per prendersi cura di se stessi e, con l’arrivo della primavera, una bella giornata di sole da godersi in giardino, magari stappando una birra fresca, la bevanda per antonomasia associata al relax e al buonumore.
“Portaci da bere uno shot di birra ma fredda, con o senza schiuma, scura o chiara, ma che sia una birra”, cantavano Enzo Jannacci e Giorgio Gaber nel 1959.
Del resto, lo dice perfino la scienza che la birra rende felici:
secondo uno studio condotto dall’Università Friedrich-Alexander l’ordenina attiverebbe il recettore della dopamina D2 esclusivamente attraverso le proteine G, stimolando più a lungo il centro di ricompensa del cervello.
Non solo: alcuni ricercatori dell’Università di Oxford hanno individuato nella birra degli effetti positivi sul piano delle interazioni sociali e, di conseguenza, sottolineato il ruolo fondamentale dei pub, spazi imprescindibili per la creazione di comunità e gruppi affiatati.
A confermarlo un’indagine pubblicata su CBS News, dalla quale risulta che un consumo moderato di alcol renda le persone più socievoli, empatiche e disinibite, permettendo loro di individuare volti altrettanto allegri nella folla più velocemente.
E se durante il lockdown ritrovarsi per bere qualcosa tutti insieme come la simpatica comitiva di How I Met Your Mother non è stato possibile, la birra rimane comunque il simbolo per eccellenza di familiarità e condivisione, un porto sicuro a cui far ritorno in tempi incerti.
Ed ecco quindi che l’“happy place” non è più un luogo fisico, bensì un attimo di gioia individuale da ritagliarsi nel caos della contemporaneità.
Lo sa bene Ivan Magnus Tagliavia, direttore marketing di Doppio Malto, che ha fatto della felicità la filosofia alla base del suo brand.
“Il nostro motto è ‘facciamo birra, facciamo cucina, vi facciamo felici!’
I locali Doppio Malto nascono per essere dei luoghi dove trascorrere del tempo di qualità con amici e parenti all’insegna del divertimento, del buon cibo e della buona birra.
Ora non è possibile farlo di persona, ma la mission rimane invariata: se i clienti non possono venire qui, vorrà dire che toccherà a noi portare nelle loro case la ‘felicità in bottiglia’.
Sull’EHI!-Commerce (shop.doppiomalto.com), lanciato poco meno di un anno fa dopo il primo lockdown di marzo, è possibile ordinare la propria box personalizzata da gustare virtualmente con i propri cari.
La birra è da sempre sinonimo di convivialità e ha un grande potere evocativo: ridere insieme dei vecchi aneddoti in attesa di crearne di nuovi è un bel modo per celebrare la giornata dedicata alla felicità.
A ben vedere poi, la madeleine di Proust è anche un ottimo esempio di “comfort food”. Ma che cosa s’intende esattamente con questa espressione?
Dall’inglese “comfortable”, “confortevole”, una pietanza può essere definita così quando, fin dal primo boccone, scatena un benessere psicologico collegato a sentimenti positivi, appagando sia il palato sia l’umore.
Il suo consumo è spesso una risposta a una fonte di stress, e non è un caso che questo concetto si sia sviluppato parallelamente alla frenesia della società moderna.
Tipici piatti di conforto sono quelli dall’alto apporto calorico, facili e veloci da preparare, da assaporare comodamente seduti sul divano davanti a un film o una serie tv.
Tuttavia, essendo la scelta del comfort food un fatto fortemente soggettivo, non ci sono limitazioni di alcun tipo.
La regola è una sola: deve far star bene.
Stesso discorso per quanto riguarda il bere: già discretamente diffuso negli Stati Uniti, come si legge in un articolo sul New York Times, pure in Italia sta prendendo sempre più piede il fenomeno del comfort drink.
Esistono infatti bevande capaci di regalare sensazioni analoghe a quelle che provoca il cibo.
Una su tutte proprio la birra, fedele compagna di aperitivi, concerti, partite e serate con gli amici.
Posto che versarsi una pinta dopo una giornata lunga e faticosa è sempre un piacere, un singolo sorso ha il potere di far riaffiorare momenti piacevoli che scaldano l’anima.
Ciliegina sulla torta, contrariamente al pensiero comune, il consumo moderato di birra può avere una lunga serie di benefici per la salute:
secondo alcuni studi pubblicati su NBC News, il mix di vitamina B, fosforo, acido folico, niacina, proteine, fibre e silicio in essa contenuto può aiutare a impedire la formazione di batteri sui denti, avere un impatto positivo sui livelli di colesterolo e prevenire il rischio di diabete, attacchi di cuore, Alzheimer e osteoporosi.
Dunque, tanto più in occasione della giornata internazionale della felicità, è decisamente il caso di brindare. Parafrasando Homer Simpson: “Alla birra! La causa di, e la soluzione a, tutti i problemi della vita!”